mercoledì 6 giugno 2012

Zeman: la forza delle idee

ROMA - Non ha vinto nulla eppure Zeman è stato accolto da trionfatore. A sessantacinque anni il suo ritorno sulla panchina di una Grande è come un soffio d’aria nuova, la promessa di un rinnovamento che pochi altri, in sua assenza, hanno saputo realizzare, Conte, Mazzarri, Guidolin, Montella. E’ la conferma vivente che le idee non hanno età anche perché in lui le idee non sono mai invecchiate. E’ rimasto fedele al suo credo, coerente a volte sino all’autolesionismo, ma fermamente deciso a continuare su una strada che alla gente piace. Lo ha confermato anche ieri: «Divertire e dare emozioni» questo il suo obiettivo. Semplice per lui, fastidiosissimo per i tanti che non riescono a realizzare la massima di Emily Dickinson: «Meglio accendere una candela che brancolare nell’oscurità». Lui la candela l’ha accesa una trentina di anni fa. Quando seguivi una partita del suo Licata rimanevi estasiato. Erano anni particolarissimi, anni in cui il pallone era percorso da fermenti nuovi. Giovani allenatori come Enrico Catuzzi e Giovanni Galeone, come Zeman e Arrigo Sacchi che poi porterà in Europa, con il Milan, il messaggio di un’Italia calcistica diversa, non più catenaccio e contropiede, ma emozioni, divertimento o, come dice l’Arrigo, «Generosità». Il Fattore Z è un valore aggiunto. Non sempre fa vincere ma regala spettacolo; potrà farti disperare quando si concede al contropiede avversario ma ti riconcilia con la vita nel momento in cui ti induce a dire quel che si diceva del Bologna di Bernardini: «Così si gioca solo in Paradiso». Zeman piace perché mantiene quel che promette, ripaga il prezzo del biglietto, al limite potrai maledirlo, mai rimpiangerlo. E’ la risposta ai mestieranti, l’energia contagiosa di un assolo jazz di Charlie Parker. Zeman dà quel che la gente chiede: emozioni. Ecco perché il primo effetto del suo ritrono è la corsa al rinnovo dell’abbonamento. Il calcio ha bisogno di un fertilizzante: le idee. Le ha avute Antonio Conte, le ha avute Walter Mazzarri, le ha avute Francesco Guidolin, le ha avute Vincenzo Montella. Se non ci fossero state quelle di Rinus Michels oggi non parleremmo del Calcio Totale, di Curyff e, probabilmente, del Barcellona di Guardiola. Perché negli stadi, anche in un pomeriggio estremamente luminoso, c’è sempre bisogno di una candela e di qualcuno che l’accenda per rischiarare il buio della mediocrità.

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