martedì 23 ottobre 2012

Totti, De Rossi e Osvaldo fanno «il bene della Roma»


CORSERA (L. VALDISERRI) - A Trigoria e dintorni, negli ultimi tempi, si è parlato molto di un concetto astratto come quello del «bene della Roma ». Una sintesi può essere quella espressa da Zdenek Zeman per spiegare la panchina di Daniele De Rossi e Dani Osvaldo nella partita contro l’Atalanta: gioca chi si preoccupa più delle esigenze della squadra che «dei fatti propri ».Parole più pesanti dell’esclusione perché andavano a colpire la professionalità degli atleti sia nel caso in cui Zeman si riferisse a comportamenti fuori dal campo (un argomento che ha sempre molta presa sul tifoso medio) sia che l’allenatore—come è più probabile — si riferisse alla scarsa voglia di giocare in un ruolo che non sentivano loro ma che, secondo Zeman, poteva essere quello più utile per la squadra.
Il «bene della Roma», nella partita contro il Genoa che potrebbe aver cambiato la stagione della squadra giallorossa, può essere quantificato con alcuni numeri. Palle giocate: Totti 104, De Rossi 94; passaggi riusciti: De Rossi 78, Totti 73; giocate utili: De Rossi 27, Totti 22; possesso palla: De Rossi 4’44", Totti 4’38". Al di là di ogni discussione sul modulo (è o non è un 4-3-3?) e soprattutto al di sopra di ogni guerra di religione resta il dato incontrovertibile di due «registi» aggiunti a Tachtsidis, cioè l’uomo deputato da Zeman per quel ruolo. Totti è stato il regista offensivo (con l’importantissimo valore aggiunto del gol da centravanti che ha riaperto la gara) e De Rossi è stato, soprattutto nella ripresa, il regista difensivo. I numeri non sono tutto nel calcio, ma sono molto. E dire che fare un passaggio a un metro di distanza rende più alta la percentuale di riuscita è vero, ma anche statisticamente falso perché nessun calciatore in una partita — tantomeno nel calcio italiano — fa «solo» passaggi corti. Il dato di valutazione è reso valido proprio dalla varietà delle situazioni che capitano a tutti i giocatori, soprattutto ai centrocampisti. Gli altri dati «pesanti» della gara sono quelli di Dani Osvaldo: 51 palle giocate, 33 passaggi riusciti, 5 giocate utili, 19 palle giocate in zona area, 5 tiri e 3 nello specchio.
C’è chi ha parlato di autogestione da parte dei giocatori più esperti, ma in questo caso si è sicuramente esagerato per amor di polemica. Altro discorso, invece, è l’interpretazione che viene data alla gara dai protagonisti. In questo senso poco importa che la Roma sia «zemaniana» in tutto o in parte, perché il raffronto è improponibile se si fa riferimento a 13 anni fa. La patente di «zemanianità» non serve a nessuno, nemmeno allo stesso Zeman. Servono i miglioramenti dei giovani (Lamela, Piris, Marquinhos...) e il peso specifico dei migliori (Totti, De Rossi, Osvaldo). Avere giocatori che non sono soldatini è un valore aggiunto e non un limite, fermo restando il diritto dell’allenatore di fare le proprie scelte. Più della fede cieca, almeno per chi crede nell’evoluzione dello sport e della società, conta la condivisione di un progetto. Quello sì che è «il bene della Roma». 

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