venerdì 7 settembre 2012

ZEMAN COMUNISTA


IL ROMANISTA (D. GALLI) - Bollettino di guerra del 7 settembre 2012. Il quotidiano di chiara stampa sovversiva, Libero, ha dato ieri alle stampe un articolo in cui si attacca il Caro Leader Zdenek Zeman, minando così la libertà del proletariato romanista, principio fondante del nostro amatissimo Paese: Zemanlandia del Nord. Silenzio dal Politburo a Trigoria, dove comunque non si esclude l’uso di testate nucleari contro le forze plutocapitalistiche qualora si protragga l’embargo disposto dalla Nato contro Zemanlandia del Nord. La tensione è alle stelle. Tornando (parzialmente) seri e partendo dalla favolosa fine dell’articolo: «E allora hasta la victoria, mister Zeman! Tanto lo sappiamo che è soltanto un bello slogan». Da un giornale dove scrive Luciano Moggi non è che ci si potesse aspettare un trattamento di riguardo nei confronti del profeta del 4-3-3 che domenica ha spiegato il calcio all’Inter, dell’uomo che ha pagato con la carriera la sua guerra alle furberie, ai giochetti di palazzo, alla slealtà e quindi al doping e a Calciopoli. D’accordo. Ma la vis polemicadel pezzo di Libero ha sorpreso tutti, forse persino qualche avversario del Boemo.

Per il quotidiano, Zeman è un comunista. Che peraltro non è reato, e per parecchie persone non è nemmeno un’offesa. Ma è curiosa (si fa per dire) l’argomentazione fornita dal giornale. Che scrive: «Il più grande paradosso di Zeman consiste nell’avere abbandonato a ventuno anni la sua città, Praga, per fuggire al comunismo, e nell’essere poi divenuto una delle personalità più popolari e carismatiche d’Italia (...) ricorrendo senza rendersene conto alle medesime «armi» che hanno garantito al comunismo le sue fortune. Quella che viene accordata a Zeman e al suo immodificabile modulo di gioco, il 4-3-3, non è mai semplice e razionale stima: è adesione fideistica, è un abbandono dai connotati mistici che ha le esatte caratteristiche della fede nel comunismo e nelle sue mirabolanti promesse. Una fede che, in quanto tale, non tiene in alcun conto le evidenze, nutrendosi bensì di profezie, di attese messianiche, di invettive». Zeman e il comunismo. Non c’è un’analogia sola, per il quotidiano. «Innanzi tutto, alla base della filosofia zemaniana, vi è l’ideologia: per Zeman, come per il comunismo, non sono mai le idee a doversi adattare alla realtà, è la realtà che deve piegarsi agli schemi dell’ideologia. E se la realtà a questi schemi non si piega, vuol dire che è la realtà a essere sbagliata, non l’ideologia, la quale è perfetta e, dunque, immutabile».

In sostanza, guai a toccare il 4-3-3. Al limite, sostiene Libero, si toccano gli interpreti. «Come nel comunismo, ciò che è collettivo deve sempre fare premio, per Zeman, su ciò che è individuale: il calciatore che osi trasgredire il modulo va subito emarginato, affinché non contamini il corpo sano della squadra». Zeman come Pol Pot, è la dittatura della zona. «Come il comunismo, Zeman auspica l’avvento di un uomo nuovo, una forma evoluta di essere umano che non conosca tentazioni, cedimenti, slealtà. Come il comunismo, Zeman preconizza il sol dell’avvenire, il materializzarsi di un evo in cui nessuna squadra giocherà più per portare a casa il risultato e tutte le partite finiranno 8-5 o 2-6, e la formazione allenata da Zeman, che è il migliore, conquisterà il campionato più spesso delle altre perché non vi saranno più cinici imbroglioni a impedirlo». Zeman come Che Guevara, è la sua guerra per la liberazione dalla dittatura dello 0-0. Poi, altro volo pindarico. Stavolta l’intreccio è tra comunismo e camorra. «Come il comunismo, Zeman applica la disciplina di partito: lo fece quando, in un sorprendente accesso garantista, prese le difese del patron del Foggia Pasquale Casillo, implicato in fatti di camorra. Come capitava a un Togliatti o a un Berlinguer, e ancor di più succede con l’icona di Guevara, a Zeman è riservato un autentico (e trasversale) culto della personalità. Come il comunismo, Zeman ottiene sporadici successi e innumerevoli fallimenti (nessun trofeo vinto in carriera, una quantità ragguardevole di esoneri, eccezionali record negativi come i quattro derby persi in un anno sulla panchina della Roma), ma ai suoi seguaci non importa, poiché il tempo dell’affermazione arriverà».

A Pescara, per esempio, è già arrivato. E a Roma siamo sulla buona strada. «Come il comunismo, Zeman vuole il riscatto dei perdenti e dei (presunti) derelitti, sempre demagogicamente considerati la parte buona da contrapporre a quella, ignobile, dei vincenti. Come il comunismo, Zeman ha il suo nemico giurato, la Juventus (identificata con il grande capitale e le sue losche manovre), che è anche un poderoso alibi per giustificare le sconfitte, il comodo bersaglio grosso da colpire ogni volta che gli eventi prendono una brutta piega». Tana libera Moggi. Dopo la camorra, altro pericoloso accostamento. Ora è con la mafia. «Come il comunismo, Zeman difetta quanto a coerenza: paladino dell’integrità morale, nel 1994 spese queste parole riguardo alla mafia: «Io non l’ho mai scoperta, la mafia. (...) Le stragi di Capaci e via d’Amelio? Ma questa è mafia? Allora, se questa è mafia, cancello tutto e dico che la mafia è una cosa bruttissima, gravissima e così via. Ma io non sono convinto che quella sia mafia».

Camorra. Mafia. E la ’ndrangheta? Niente. Peccato, nel contesto ci sarebbe stato bene. C’è ancora spazio per qualche altro simpatico apprezzamento: Zeman bugiardo, santone, impunito, venditore di fumo. Per Libero, il comunismo è questo. E dunque Zeman è comunista. Un pregio, comunque, questo articolo di Liberoce lo ha avuto. Ha scatenato l’ironia generale. Su Twitter segnaliamo: "Da Trigoria carri armati verso l’Eur", "Zeman vara il piano quinquennale. Perrotta perplesso", "Divisa Zemanlandia in Zemanlandia del Nord e Zemanlandia del Sud" (copyright Progetto Zamblera); "Pare che oggi Zeman abbia diviso il campo di Trigoria con un muro, Trigoria est, Trigoria ovest" (Luca Prestigioso); "Associazione Sovietica Roma" (Johnny Palomba); "Opere di Zeman: "La Capitale" (Stefano Bartezzaghi); "Zeman è venuto a Roma perché la maja rossa lo stimola", "Dice che j’è costato parecchio umilià l’Internazionale..." (Artefatti).
IL ROMANISTA (D. GALLI) -Bollettino di guerra del 7 settembre 2012. Il quotidiano di chiara stampa sovversiva, Libero, ha dato ieri alle stampe un articolo in cui si attacca il Caro Leader Zdenek Zeman, minando così la libertà del proletariato romanista, principio fondante del nostro amatissimo Paese: Zemanlandia del Nord. Silenzio dal Politburo a Trigoria, dove comunque non si esclude l’uso di testate nucleari contro le forze plutocapitalistiche qualora si protragga l’embargo disposto dalla Nato contro Zemanlandia del Nord. La tensione è alle stelle. Tornando (parzialmente) seri e partendo dalla favolosa fine dell’articolo: «E allora hasta la victoria, mister Zeman! Tanto lo sappiamo che è soltanto un bello slogan». Da un giornale dove scrive Luciano Moggi non è che ci si potesse aspettare un trattamento di riguardo nei confronti del profeta del 4-3-3 che domenica ha spiegato il calcio all’Inter, dell’uomo che ha pagato con la carriera la sua guerra alle furberie, ai giochetti di palazzo, alla slealtà e quindi al doping e a Calciopoli. D’accordo. Ma la vis polemicadel pezzo di Libero ha sorpreso tutti, forse persino qualche avversario del Boemo.
Per il quotidiano, Zeman è un comunista. Che peraltro non è reato, e per parecchie persone non è nemmeno un’offesa. Ma è curiosa (si fa per dire) l’argomentazione fornita dal giornale. Che scrive: «Il più grande paradosso di Zeman consiste nell’avere abbandonato a ventuno anni la sua città, Praga, per fuggire al comunismo, e nell’essere poi divenuto una delle personalità più popolari e carismatiche d’Italia (...) ricorrendo senza rendersene conto alle medesime «armi» che hanno garantito al comunismo le sue fortune. Quella che viene accordata a Zeman e al suo immodificabile modulo di gioco, il 4-3-3, non è mai semplice e razionale stima: è adesione fideistica, è un abbandono dai connotati mistici che ha le esatte caratteristiche della fede nel comunismo e nelle sue mirabolanti promesse. Una fede che, in quanto tale, non tiene in alcun conto le evidenze, nutrendosi bensì di profezie, di attese messianiche, di invettive». Zeman e il comunismo. Non c’è un’analogia sola, per il quotidiano. «Innanzi tutto, alla base della filosofia zemaniana, vi è l’ideologia: per Zeman, come per il comunismo, non sono mai le idee a doversi adattare alla realtà, è la realtà che deve piegarsi agli schemi dell’ideologia. E se la realtà a questi schemi non si piega, vuol dire che è la realtà a essere sbagliata, non l’ideologia, la quale è perfetta e, dunque, immutabile».
In sostanza, guai a toccare il 4-3-3. Al limite, sostiene Libero, si toccano gli interpreti. «Come nel comunismo, ciò che è collettivo deve sempre fare premio, per Zeman, su ciò che è individuale: il calciatore che osi trasgredire il modulo va subito emarginato, affinché non contamini il corpo sano della squadra». Zeman come Pol Pot, è la dittatura della zona. «Come il comunismo, Zeman auspica l’avvento di un uomo nuovo, una forma evoluta di essere umano che non conosca tentazioni, cedimenti, slealtà. Come il comunismo, Zeman preconizza il sol dell’avvenire, il materializzarsi di un evo in cui nessuna squadra giocherà più per portare a casa il risultato e tutte le partite finiranno 8-5 o 2-6, e la formazione allenata da Zeman, che è il migliore, conquisterà il campionato più spesso delle altre perché non vi saranno più cinici imbroglioni a impedirlo». Zeman come Che Guevara, è la sua guerra per la liberazione dalla dittatura dello 0-0. Poi, altro volo pindarico. Stavolta l’intreccio è tra comunismo e camorra. «Come il comunismo, Zeman applica la disciplina di partito: lo fece quando, in un sorprendente accesso garantista, prese le difese del patron del Foggia Pasquale Casillo, implicato in fatti di camorra. Come capitava a un Togliatti o a un Berlinguer, e ancor di più succede con l’icona di Guevara, a Zeman è riservato un autentico (e trasversale) culto della personalità. Come il comunismo, Zeman ottiene sporadici successi e innumerevoli fallimenti (nessun trofeo vinto in carriera, una quantità ragguardevole di esoneri, eccezionali record negativi come i quattro derby persi in un anno sulla panchina della Roma), ma ai suoi seguaci non importa, poiché il tempo dell’affermazione arriverà».
A Pescara, per esempio, è già arrivato. E a Roma siamo sulla buona strada. «Come il comunismo, Zeman vuole il riscatto dei perdenti e dei (presunti) derelitti, sempre demagogicamente considerati la parte buona da contrapporre a quella, ignobile, dei vincenti. Come il comunismo, Zeman ha il suo nemico giurato, la Juventus (identificata con il grande capitale e le sue losche manovre), che è anche un poderoso alibi per giustificare le sconfitte, il comodo bersaglio grosso da colpire ogni volta che gli eventi prendono una brutta piega». Tana libera Moggi. Dopo la camorra, altro pericoloso accostamento. Ora è con la mafia. «Come il comunismo, Zeman difetta quanto a coerenza: paladino dell’integrità morale, nel 1994 spese queste parole riguardo alla mafia: «Io non l’ho mai scoperta, la mafia. (...) Le stragi di Capaci e via d’Amelio? Ma questa è mafia? Allora, se questa è mafia, cancello tutto e dico che la mafia è una cosa bruttissima, gravissima e così via. Ma io non sono convinto che quella sia mafia».
Camorra. Mafia. E la ’ndrangheta? Niente. Peccato, nel contesto ci sarebbe stato bene. C’è ancora spazio per qualche altro simpatico apprezzamento: Zeman bugiardo, santone, impunito, venditore di fumo. Per Libero, il comunismo è questo. E dunque Zeman è comunista. Un pregio, comunque, questo articolo di Liberoce lo ha avuto. Ha scatenato l’ironia generale. Su Twitter segnaliamo: "Da Trigoria carri armati verso l’Eur", "Zeman vara il piano quinquennale. Perrotta perplesso", "Divisa Zemanlandia in Zemanlandia del Nord e Zemanlandia del Sud" (copyright Progetto Zamblera); "Pare che oggi Zeman abbia diviso il campo di Trigoria con un muro, Trigoria est, Trigoria ovest" (Luca Prestigioso); "Associazione Sovietica Roma" (Johnny Palomba); "Opere di Zeman: "La Capitale" (Stefano Bartezzaghi); "Zeman è venuto a Roma perché la maja rossa lo stimola", "Dice che j’è costato parecchio umilià l’Internazionale..." (Artefatti).

Nessun commento:

Posta un commento