lunedì 17 settembre 2012

Milan disastro: dove finiscono le colpe di Allegri. Palermo "Emmezeta", quando il calcio diventa un supermercato. Roma, con Zeman ti diverti ma non vinci

Siamo stati i primi a "sparare" su Allegri ed oggi vogliamo essere i primi a togliere un po' di polvere da sparo dalla testa di Max. Che il Milan non abbia gioco non lo dobbiamo, certamente, sottolineare noi. Le prestazioni imbarazzanti con Samp ed Atalanta (aggiungerei anche Bologna, dove si è salvato solo il risultato) sono la prova lampante di un allenatore che ha oggettivi limiti tattici. Allegri non ha le idee di Zeman, non ha la sostanza e la concretezza di Guidolin, non ha la grinta di Cosmi ma era l'ideale in un Milan di campioni. Ottimo gestore di un gruppo pieno di big, con voglia di imparare da loro e la consapevolezza che i campionati li fanno vincere i giocatori. Al primo anno Max aveva capito le regole del gioco... e ha vinto. Al secondo anno è diventato presuntuoso, ha creduto che i meriti del successo precedente fossero soprattutto i suoi e quando i big dello spogliatoio lo hanno capito lo hanno mollato; poi ha voluto che andassero via tutti: da Gattuso a Nesta, da Inzaghi a Seedorf. Se un allenatore per aggiornamento vuole andare a vedere, a Milanello, gli allenamenti di Allegri resta deluso. Come ammette lui stesso, non porta nulla di nuovo. Zero idee, zero novità. Il problema nasce proprio qui: Galliani e Berlusconi, adesso, non possono mollare il tecnico per i scarsi risultati che sta ottenendo. Non si può pretendere da lui che completi un puzzle dove mancano i tasselli centrali. Non è Allegri l'allenatore che può far diventare campioni calciatori mediocri come Costant, Acerbi, Traore, Yepes e tanti altri. Sarà un anno di sofferenze. Il Milan di oggi ricorda l'Inter dello scorso anno. Inutile pensare ad un sostituto di Allegri, oggi, meglio pensare a domani quando finirà il campionato russo e Spalletti forse avrà voglia di tornare nel nostro Paese, seppur dovrà rinunciare ad una vagonata di milioni di euro.
Da un allenatore all'altro. La storia è infinita. Maurizio Zamparini continua a confondere il Palermo con uno dei suoi supermercati "Emmezeta" dove M sta per Maurizio e Z per Zamparini. Ma qui l'unica Z che corrisponde al suo cognome è lo zero. I presupposti sono due: i soldi sono i suoi e fa quello che vuole e gli allenatori che accettano di andare a Palermo per soldi e per la piazza non devono lamentarsi se poi vengono esonerati. Svolgimento: Zamparini non renderà mai grande questo Palermo e qualche spiegazione la dovrà pur dare, visto che il club è suo ma la città no. Dopo tre giornate non può mandare a casa Sannino, allenatore bravo e preparato che ha avuto solo una colpa: quella di fidarsi di Giorgio Perinetti. Perché, in questa storia, anche il direttore ha le sue colpe. Se aveva già la consapevolezza di non essere in grado di intercedere con il presidente, per il bene del mister, non doveva neanche proporre Palermo a Sannino. Dimostrazione che con Zamparini neanche uno come Perinetti ha voce in capitolo. Per questo possono coesistere solo yes-men in una società in cui si conosce un solo verbo: obbedire. Zamparini, più che nascondersi dietro agli esoneri dei tecnici, dovrebbe spiegare come mai non investe nel Palermo. Come mai prova ad emulare i tentativi di mercato del suo corregionale Pozzo. Gli esperimenti sudamericani del Palermo sono una accozzaglia di tentativi falliti. Fatta eccezione per il buon Pastore, all'epoca consigliato da Carlo Ancelotti. Venduto Cavani c'è una bomba che resta disinnenscata: Abel Hernandez. Ogni mercato cessioni eccellenti, ogni mercato restano ruoli scoperti. Non si disperi Sannino che, probabilmente, tra 10-15 giornate sarà richiamato alla base. Il problema non è lui ma un presidente che non conosce le regole del gioco.

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